mercoledì 2 maggio 2012

MMP BLOG #6 COS'E' UNA MONETA SOVRANA?

 

Di L. Randall Wray
Fonte: Modern Money Primer
Blog#6 neweconomicperspectives.blogspot.com
Traduzione a cura di Marco Sciortino

Nelle ultime settimane abbiamo esaminato in qualche punto l'approccio dei tre bilanci sviluppato largamente da Wynne Godley. In qualche modo tutto ciò è propedeutico per esaminare la natura della moneta moderna. Inoltre, come molti di voi hanno già riconosciuto, una caratteristica chiave che contraddistingue la MMT è la sua visione su come il governo realmente spende. A partire da questo blog cominceremo a sviluppare la nostra teoria della moneta sovrana.

Per cui nelle prossime settimane esamineremo la spesa dei governi che emettono la propria valuta domestica. Presenteremo dapprima i principi che sono applicabili a qualunque emettitore di valuta domestica. Questi principi si applicano sia ai paesi sviluppati che a quelli in via di sviluppo, tralasciando il sistema dei tassi di cambio. Poi passeremo all'analisi dei fattori particolari che si applicano a quest'ultimi. Alla fine discuteremo le conseguenze dell'analisi per i differenti regimi valutari.

In questo blog ci occuperemo del concetto di una moneta sovrana.

 Valuta domestica. Per prima cosa introduciamo il concetto di moneta di conto — il Dollaro australiano, il Dollaro USA, lo Yen giapponese, la Sterlina britannica, e l'Euro europeo sono tutti esempi di monete di conto. Le prime quattro di queste monete sono ciascuna associata ad una singola nazione. Di contro, l'Euro è una moneta di conto adottata da un numero di paesi che hanno aderito all'Unione Monetaria Europea. Per tutta la storia, la consuetudine è stata: "una nazione, una moneta", sebbene vi sia stato un numero di eccezioni a questa regola, incluso il moderno caso dell'Euro.
 La maggior parte della discussione che segue sarà focalizzata sui più comuni casi, nei quali una nazione adotta la propria moneta di conto, e nei quali il governo emette una valuta denominata in quella moneta di conto. Quando ci dedicheremo ai casi eccezionali, come l'Unione Monetaria Europea, identificheremo attentamente le differenze che sorgono quando una valuta è divorziata dalla nazione.

Notate che la maggioranza dei paesi in via di sviluppo adotta la propria valuta domestica. Tuttavia, alcuni di essi ancorano le proprie valute, quindi, cedono un grado dello spazio della politica interna, come verrà discusso più in basso. Comunque sia, dato che essi emettono le proprie valute, la presente analisi sulla moneta di conto si applica anche a loro.

Notate anche, seguendo la discussione di cui alla fine del blog 4, che noi riconosciamo che le singole famiglie e imprese (e persino i governi) possono utilizzare valute straniere anche all'interno della loro economia domestica. Per esempio, all'interno del Kazakistan (e di molte altre nazioni in via di sviluppo) alcune transazioni possono avvenire in Dollari USA, mentre altre in Tenge. E i singoli possono accumulare ricchezza netta denominata in Dollari o in Tenge. Comunque, i principi contabili che si applicano alle monete di conto si applicano anche (separatamente) ad ognuna di queste valute.

Una nazione, una moneta. La prassi prevalentemente dominante per una nazione è adottare la sua unica moneta di conto — il Dollaro USA (US$) in America; il Dollaro australiano (A$) in Australia; il tenge kazaco. Il governo di tale nazione emette una valuta (solitamente consistente in monete metalliche e in banconote cartacee di varie denominazioni) denominata nella sua moneta di conto. La spesa del governo, come pure le passività fiscali, i tributi, e le multe dovute al governo, sono denominate nella medesima moneta di conto. Il sistema giudiziario stima i risarcimenti nei casi civili usando la stessa moneta di conto.

Per esempio, i salari sono calcolati nella moneta di conto nazionale e, nell'eventualità che il datore di lavoro non paghi i salari dovuti, i tribunali faranno valere i contratti di lavoro e stimeranno i risarcimenti monetari da rimborsare all'occupato da parte del datore di lavoro.

Un governo potrebbe anche usare una valuta straniera per alcuni dei suoi acquisti, e potrebbe parimenti accettare una valuta straniera in pagamento. Potrebbe anche prendere somme in prestito — emettendo degli Io Ti Devo — in valuta straniera. Di solito, ciò viene effettuato quando il governo fa acquisti di importazione o quando vuole accumulare riserve in valuta estera (ad esempio quando vi ancora la propria moneta). Anche se è importante, ciò non cambia la contabilità della valuta domestica. Ossia, se il governo kazaco spende più Renge di quanti ne riscuote con le tasse, incorre in un deficit di bilancio in Tenge che è esattamente uguale all'accumulazione di Tenge del settore non governativo tramite il suo surplus di bilancio (se assumiamo un settore estero in equilibrio, sarà il settore privato interno che accumulerà Tenge).

Dimostreremo che il governo ha molti più margini (che chiameremo "spazio di politica interna") quando spende e tassa nella propria moneta piuttosto che quando spende e tassa in una valuta straniera. Per il governo kazaco incorrere in un deficit di bilancio in Dollari USA, implicherebbe dover entrare in ulteriore possesso di Dollari prendendoli in prestito. Questo è più gravoso che spendere emettendo tenge al settore privato interno che vuole accumulare risparmio netto in tale moneta di conto.

È pure importante osservare che in molte nazioni vi sono contratti privati stipulati in monete di conto straniere. Per esempio, in alcuni paesi latino americani, nonché in alcune altre nazioni in via di sviluppo qua e là nel mondo, è usuale stipulare alcuni tipi di contratti in termini del Dollaro USA. È anche usuale in molte nazioni utilizzare la valuta USA in pagamento nelle transazioni private. In base ad alcune stime, il valore totale della valuta USA che circola al di fuori dell'America eccede il valore della valuta USA usata in patria. Per cui, una o più monete di conto straniere, così come le valute estere, potrebbero essere adoperate in aggiunta alla moneta di conto domestica ed alla valuta domestica denominata in tale unità.

Talvolta ciò è esplicitamente riconosciuto, e permesso, dalle autorità, mentre altre volte è parte dell'economia sommersa, che cerca di sfuggire ai controlli impiegando valuta straniera. Potrebbe essere sorprendente apprendere che negli Stati Uniti le valute estere circolavano di fianco al Dollaro ben già dal XIX secolo; in effetti, il Tesoro USA accettava persino pagamenti in tasse in valuta estera fino alla metà del XIX secolo.

Comunque, tali pratiche sono estremamente rare nei paesi sviluppati che emettono le proprie valute (ad eccezione delle nazioni dell'Euro — ognuna delle quali utilizza l'Euro che effettivamente è una valuta "straniera", dalla prospettiva della singola nazione). Tuttora non è insolito nelle nazioni in via di sviluppo, per le valute straniere, circolare affianco alla valuta domestica, e talvolta i loro governi volentieri le accettano. In alcuni casi, i commercianti addirittura preferiscono le valute straniere alla valuta domestica

Questo ha implicazioni per la politica, come verrà discusso in seguito.

 Sovranità e moneta. La valuta nazionale è spesso vista come "moneta sovrana", ovvero, la moneta emessa dal governo sovrano. Il governo sovrano ritiene per sé una varietà di poteri che non sono attribuiti ai singoli o alle istituzioni private. Ecco, siamo solamente interessati a tali poteri associati alla moneta.

 Il governo sovrano, da solo, ha il potere di determinare quale moneta di conto riconoscerà per i rendiconti ufficiali (come discusso, potrebbe scegliere di accettare una valuta estera in alcuni pagamenti — ma questo è ad appannaggio di esso). Inoltre, gli odierni governi sovrani, da soli, sono investiti del potere di emettere la valuta denominata nella propria moneta di conto. Se un'entità al di fuori del governo provasse ad emettere la valuta domestica (se non esplicitamente autorizzata), sarebbe perseguita come contraffattrice, con severe sanzioni conseguenti.



Inoltre, il governo sovrano impone oneri fiscali (nonché multe e tributi) nella sua moneta di conto, e decide come questi oneri possono essere pagati — ovvero, decide cosa accetterà in pagamento, cosicché i contribuenti possano estinguere le loro obbligazioni.

In ultimo, il governo sovrano decide altresì come effettuerà i propri pagamenti — cosa offrirà per acquistare beni o servizi, o per estinguere le proprie obbligazioni (quali i pagamenti che deve fare ai pensionati). La maggioranza dei moderni governi sovrani effettua pagamenti nella propria valuta, e richiede pagamenti delle tasse sempre nella stessa.

La prossima settimana continueremo questa discussione, indagando su "cosa spalleggia" la moneta moderna.






In recent weeks we have examined in some detail the three balances approach developed largely by Wynne Godley. In some sense all of that is preliminary to examining the nature of modern money. Further, as many of you have no doubt already recognized, a key distinguishing characteristic of MMT is its view on how government really spends. Beginning with this blog we will begin to develop our theory of sovereign currency.


So in coming weeks we examine spending by government that issues its own domestic currency. We first present general principles that are applicable to any issuer of domestic currency. These principles apply to both developed and developing nations, and regardless of exchange rate regime. We later move on to analysis of special considerations that apply to developing nations. Finally we will discuss implications of the analysis for different currency regimes.

In this blog we examine the concept of a sovereign currency.


Domestic Currency. We first introduce the concept of the money of account—the Australian dollar, the US dollar, the Japanese Yen, the British Pound, and the European Euro are all examples of a money of account. The first four of these monies of account are each associated with a single nation. By contrast, the Euro is a money of account adopted by a number of countries that have joined the European Monetary Union. Throughout history, the usual situation has been “one nation, one currency”, although there have been a number of exceptions to this rule, including the modern Euro. Most of the discussion that follows will be focused on the more common case in which a nation adopts its own money of account, and in which the government issues a currency denominated in that unit of account. When we address the exceptional cases, such as the European Monetary Union, we will carefully identify the differences that arise when a currency is divorced from the nation.

Note that most developing nations adopt their own domestic currency. However, some of these peg their currencies, hence, surrender a degree of domestic policy space, as will be discussed below. However, since they do issue their own currencies, the analysis here of the money of account does apply to them.

Note also, following the discussion at the end of Blog 4, we recognize that individual households and firms (and even governments) can use foreign currencies even within their domestic economy. For example, within Kazakhstan (and many other developing nations) some transactions can occur in US Dollars, while others take the form of Tenge. And individuals can accumulate net wealth denominated in Dollars or in Tenge. However, the accounting principles that apply to a money of account will still apply (separately) to each of these currencies.

One nation, one currency. The overwhelmingly dominant practice is for a nation to adopt its own unique money of account—the US Dollar (US$) in America; the Australian Dollar (A$) in Australia; the Kazakhstan Tenge. The government of the nation issues a currency (usually consisting of metal coins and paper notes of various denominations) denominated in its money of account. Spending by the government as well as tax liabilities, fees, and fines owed to the government are denominated in the same money of account. The court system assesses damages in civil cases using the same money of account.

For example, wages are counted in the nation’s money of account and in the event that an employer fails to pay wages due, the courts will enforce the labor contract and assess monetary damages on the employer to be paid to the employee.

A government might also use a foreign currency for some of its purchases, and might accept a foreign currency in payment. It might also borrow—issuing IOUs—in a foreign currency. Usually, this is done when the government is making purchases of imports or when it is trying to accumulate foreign currency reserves (for example when it pegs its currency). While important, this does not change the accounting of the domestic currency. That is, if the Kazakhstan government spends more Tenge than it collects in Tenge taxes, it runs a budget deficit in Tenge that exactly equals the nongovernment sector’s accumulation of Tenge through its budget surplus (assuming a balanced foreign sector it will be the domestic private sector that accumulates the Tenge).

 
We will argue that the government has much more leeway (called “domestic policy space”) when it spends and taxes in its own currency than when it spends or taxes in a foreign currency. For the Kazakhstan government to run a budget deficit in US Dollars, it would have to get hold of the extra Dollars by borrowing them. This is more difficult than simply spending by issuing Tenge to a domestic private sector that wants to accumulate some net saving in Tenge.


It is also important to note that in many nations there are private contracts that are written in foreign monies of account. For example, in some Latin American countries as well as some other developing nations around the world it is common to write some kinds of contracts in terms of the US Dollar. It is also common in many nations to use US currency in payment in private transactions. According to some estimates, the total value of US currency circulating outside America exceeds the value of US currency used at home. Thus, one or more foreign monies of account as well as foreign currencies might be used in addition to the domestic money of account and the domestic currency denominated in that unit.

Sometimes this is explicitly recognized by, and permitted by, the authorities while other times it is part of the underground economy that tries to avoid detection by using foreign currency. It might be surprising to learn that in the United States foreign currencies circulated alongside the US dollar well into the 19th century; indeed, the US Treasury even accepted payment of taxes in foreign currency until the middle of the 19th century.

However, such practices are now extremely rare in the developed nations that issue their own currencies (with the exception of the Euro nations—each of which uses the Euro that is effectively a “foreign” currency from the perspective of the individual nation). Still it is not uncommon in developing nations for foreign currencies to circulate alongside domestic currency, and sometimes their governments willingly accept foreign currencies. In some cases, sellers even prefer foreign currencies over domestic currencies.

This has implications for policy, as discussed later.


Sovereignty and the currency. The national currency is often referred to as a “sovereign currency”, that is, the currency issued by the sovereign government. The sovereign government retains for itself a variety of powers that are not given to private individuals or institutions. Here, we are only concerned with those powers associated with money.

The sovereign government, alone, has the power to determine which money of account it will recognize for official accounts (as discussed, it might choose to accept a foreign currency for some payments—but that is the sovereign’s prerogative). Further, modern sovereign governments, alone, are invested with the power to issue the currency denominated in its money of account.
If any entity other than the government tried to issue domestic currency (unless explicitly permitted to do so by government) it would be prosecuted as a counterfeiter, with severe penalties resulting.


Further, the sovereign government imposes tax liabilities (as well as fines and fees) in its money of account, and decides how these liabilities can be paid—that is, it decides what it will accept in payment so that taxpayers can fulfil their obligations.

Finally, the sovereign government also decides how it will make its own payments—what it will deliver to purchase goods or services, or to meet its own obligations (such as payments it must make to retirees). Most modern sovereign governments make payments in their own currency, and require tax payments in the same currency.

Next week we will continue this discussion, investigating “what backs up” modern money.

martedì 6 marzo 2012

MMP BLOG 4: MMT, BILANCI SETTORIALI E COMPORTAMENTO

Pubblicato su New Economic Perspectives il 27 Giugno 2011

In Blog #2 we introduced the basics of macro accounting, and in Blog #3 we took a break from accounting to take a look at the rise and fall of the Goldilocks economy in the US. Thus, we applied our sectoral balance identity to the case of the US. In today’s blog we will go a bit deeper into the accounting, looking at the relation between flows (deficits) and stocks (debts). To avoid making mistakes we need to make sure that we have “consistency” between our flows and our stocks. We want to make sure that all spending and saving comes from somewhere and goes somewhere. And we must make sure that one sector’s surplus is offset by a deficit in another sector. This is a lot like keeping track of the scores in a baseball game, and in fact most financial “scores” really are electronic entries in the modern world.




We will also try to say something about causation. It is not sufficient to say that at the aggregate level, the private balance plus the government balance plus the foreign balance equals zero. We would like to be able to understand why the private sector balance was negative during the Clinton Goldilocks years while the government balance was positive—how did we get to that point, and what sorts of processes did it induce. Obviously that is necessary before we can really analyse the situation and formulate policy. Unlike the macro accounting identity (which must be true), it is not possible to say with certainty what causes a particular sector’s balance. It is quite easy to say that if the government runs a surplus and if the foreign balance is positive (foreign sector spends less than its income) then the domestic private sector must by accounting identity be negative (running a deficit). It all must sum to zero.


Explaining why the private sector had a deficit during the Goldilocks years is harder; it is even harder to project if and for how long that deficit would continue. I already made clear in Blog 3 that I got the timing wrong—private sector deficits continued for about 4 years longer than I expected. Projections are darned hard to get right—if they were easy, MMTers would all make lots of money placing bets on outcomes. Another way of stating this is to say that a good understanding of MMT does not give one any monopoly on explanations of causation. We must not be overly confident. As the late and great Wynne Godley used to put it, he did not make forecasts, rather, he made contingent projections.


For example, carrying on with the work of Godley, the Levy Economics Institute (www.levy.org) makes such projections. Typically it begins with CBO (Congressional Budget Office) projections of the path of government deficits and of economic growth over the next few years. CBO projections are largely determined by current law (ie: laws determining government spending and taxing, as well as mandates over deficit reduction). However, the CBO’s projections are not stock-flow consistent and do not adopt the three sector balances approach (this used to drive Godley crazy). In other words, they are incoherent. But given projections over the government balance and GDP growth as well as empirical estimates of various economic parameters (propensity to consume and import, for example), one can produce a stock-flow consistent model that produces the implied sectoral balances as well as path of debt. The Levy Institute often finds that economic growth rates (for example) plus government deficit projections used in CBO forecasts imply highly implausible balances in the other two sectors (domestic private and foreign) as well as private debt ratios. To do that kind of analysis, you must go beyond the simple accounting identities.



Deficits -> savings and debts -> wealth. We have established in our previous blogs that the deficits of one sector must equal the surpluses of (at least) one of the other sectors. We have also established that the debts of one sector must equal the financial wealth of (at least) one of the other sectors. So far, this all follows from the principles of macro accounting. However, the economist wishes to say more than this, for like all scientists, economists are interested in causation. Economics is a social science, that is, the science of extraordinarily complex social systems in which causation is never simple because economic phenomena are subject to interdependence, hysteresis, cumulative causation, and so on. Still, we can say something about causal relationships among the flows and stocks that we have been discussing in the previous blogs. Some readers will note that the causal connections adopted here follow from Keynesian theory.

a) Individual spending is mostly determined by income. Our starting point will be the private sector decision to spend. For the individual, it seems plausible to argue that income largely determines spending because one with no income is certainly going to be severely constrained when deciding to purchase goods and services. However, on reflection it is apparent that even at the individual level, the link between income and spending is loose—one can spend less than one’s income, accumulating net financial assets, or one can spend more than one’s income by issuing financial liabilities and thereby becoming indebted. Still, at the level of the individual household or firm, the direction of causation largely runs from income to spending even if the correspondence between the two flows is not perfect. There is little reason to believe that one’s own spending significantly determines one’s own income.

b) Deficits create financial wealth. We can also say something about the direction of causation regarding accumulation of financial wealth at the level of the individual. If a household or firm decides to spend more than its income (running a budget deficit), it can issue liabilities to finance purchases. These liabilities will be accumulated as net financial wealth by another household, firm, or government that is saving (running a budget surplus). Of course, for this net financial wealth accumulation to take place, we must have one household or firm willing to deficit spend, and another household, firm, or government willing to accumulate wealth in the form of the liabilities of that deficit spender. We can say that “it takes two to tango”. However, it is the decision to deficit spend that is the initiating cause of the creation of net financial wealth. No matter how much others might want to accumulate financial wealth, they will not be able to do so unless someone is willing to deficit spend.

Still, it is true that the household or firm will not be able to deficit spend unless it can sell accumulated assets or find someone willing to hold its liabilities. We can suppose there is a propensity (or desire) to accumulate net financial wealth. This does not mean that every individual firm or household will be able to issue debt so that it can deficit spend, but it does ensure that many firms and households will find willing holders of their debt. And in the case of a sovereign government, there is a special power—the ability to tax--that virtually guarantees that households and firms will want to accumulate the government’s debt. (That is a topic we pursue later.) We conclude that while causation is complex, and while “it takes two to tango”, causation tends to run from individual deficit spending to accumulation of financial wealth, and from debt to financial wealth. Since accumulation of a stock of financial wealth results from a budget surplus, that is, from a flow of saving, we can also conclude that causation tends to run from deficit spending to saving.





c) Aggregate spending creates aggregate income. At the aggregate level, taking the economy as a whole, causation is more clear-cut. A society cannot decide to have more income, but it can decide to spend more. Further, all spending must be received by someone, somewhere, as income. Finally, as discussed earlier, spending is not necessarily constrained by income because it is possible for households, firms, or government to spend more than income. Indeed, as we discussed, any of the three main sectors can run a deficit with at least one of the others running a surplus. However, it is not possible for spending at the aggregate level to be different from aggregate income since the sum of the sectoral balances must be zero. For all of these reasons, we must reverse causation between spending and income when we turn to the aggregate: while at the individual level, income causes spending, at the aggregate level, spending causes income.


d) Deficits in one sector create the surpluses of another.
Earlier we showed that the deficits of one sector are by identity equal to the sum of the surplus balances of the other sector(s). If we divide the economy into three sectors (domestic private sector, domestic government sector, and foreign sector), then if one sector runs a deficit at least one other must run a surplus. Just as in the case of our analysis of individual balances, it “takes two to tango” in the sense that one sector cannot run a deficit if no other sector will run a surplus. Equivalently, we can say that one sector cannot issue debt if no other sector is willing to accumulate the debt instruments.



Of course, much of the debt issued within a sector will be held by others in the same sector. For example, if we look at the finances of the private domestic sector we will find that most business debt is held by domestic firms and households. In the terminology we introduced earlier, this is “inside debt” of those firms and households that run budget deficits, held as “inside wealth” by those households and firms that run budget surpluses. However, if the domestic private sector taken as a whole spends more than its income, it must issue “outside debt” held as “outside wealth” by at least one of the other two sectors (domestic government sector and foreign sector). Because the initiating cause of a budget deficit is a desire to spend more than income, the causation mostly goes from deficits to surpluses and from debt to net financial wealth. While we recognize that no sector can run a deficit unless another wants to run a surplus, this is not usually a problem because there is a propensity to net save financial assets. That is to say, there is a desire to accumulate financial wealth—which by definition is somebody’s liability.





Conclusion. Before moving on it is necessary to emphasize that everything in this blog (as well as Blog #2) applies to the macro accounting of any country. While examples used the dollar, all of the results apply no matter what currency is used. Our fundamental macro balance equation,


Domestic Private Balance + Domestic Government Balance + Foreign Balance = 0

will strictly apply to the accounting of balances of any currency. Within a country there can also be flows (accumulating to stocks) in a foreign currency, and there will be a macro balance equation in that currency, too.


Note that nothing changes if we expand our model to include a number of different countries, each of which issues its own currency. There will be a macro balance equation for each of these countries and for each of the currencies. Individual firms or households (or, for that matter, governments) can accumulate net financial assets denominated in several different currencies; vice versa, individual firms or households (or governments) can issue net debt denominated in several different currencies. It can even become more complicated, with an individual running a deficit in one currency and a surplus in another (issuing debt in one currency and accumulating wealth in another). Still, for every country and for every currency there will be a macro balance equation.

OK that is enough for this week. Can I remind commentators and questioners that this is a Primer. We will collect questions and comments until Wednesday and then post a response. We appreciate comments and questions directly related to this blog. We really do not want comments from those who have already examined and rejected MMT.

Nel Blog #2 abbiamo introdotto le basi della macro contabilità e nel Blog #3 ci siamo presi una pausa dalla macro contabilità per dare un'occhiata all'ascesa e al crollo dell'economia di Goldilocks negli USA. Abbiamo poi applicato la nostra identità dei bilanci settoriali al caso degli USA. Nel blog di oggi andremo un po' più a fondo nella contabilità, guardando alla relazione tra flussi (passività) e stock (debiti). Per evitare di commettere errori dobbiamo essere sicuri di avere “coerenza” tra i nostri flussi e i nostri stock. Dobbiamo essere sicuri che tutta la spesa e i risparmi vengano da una qualche parte e vadano da una qualche parte. Dobbiamo inoltre essere sicuri che il surplus in un settore sia controbilanciato da un deficit in un altro settore. Questa cosa assomiglia molto a quando si tiene traccia dei punteggi in una partita di baseball, ed infatti, nel mondo moderno, il più dei “punteggi” finanziari sono davvero registrazioni elettroniche.

Proveremo inoltre a dire qualcosa sulla causazione. Non è sufficiente dire che a livello aggregato la somma del bilancio privato più il bilancio governativo più il bilancio estero è zero. Ci piacerebbe essere in grado di capire perché il bilancio del settore privato era negativo durante gli anni di Clinton Goldilocks mentre il bilancio del governo era positivo—sapere come siamo arrivati a quel punto, e che tipo di processi induce. Ovviamente questo è necessario per potere davvero analizzare le situazioni e formulare politiche. Diversamente da quanto vale per l'identità macro contabile (che deve essere vera), non è possibile dire con certezza da cosa è causato il bilancio di un settore particolare. E' molto semplice dire che se il governo va in eccedenza di bilancio e il bilancio del settore estero è positivo (il settore estero spende meno dei suoi introiti) allora il settore privato nazionale deve per identità contabile essere negativo (sta andando in deficit). La somma di tutto deve essere zero.

Spiegare perché il settore privato aveva un deficit durante gli anni di Goldilocks è più difficile; lo è persino proiettare se e per quanto tempo quel deficit sarebbe continuato. Nel Blog 3 ho chiarito di avere sbagliato sui tempi—i deficit del settore privato continuarono per circa 4 anni più a lungo di quanto mi aspettassi. Le proiezioni sono maledettamente difficili da indovinare—se fossero semplici, quelli della MMT farebbero tutti un sacco di soldi scommettendo negli esiti. Un' altro modo di esprimere questa cosa è di dire che una buona comprensione della MMT non da a uno un monopolio sulla spiegazione della causazione. Non dobbiamo sentirci troppo sicuri. Come il tardo e grande Wynne Godley era solito dire, lui non faceva previsioni, piuttosto, lui faceva proiezioni contingenti.

Per esempio, portando avanti il lavoro di Godley, il Levy Economics Institute (www.levy.org) faceva questo genere di proiezioni. Tipicamente cominciano con le proiezioni del CBO (Congressional Budget Office) sul percorso del deficit del governo e della crescita economica lungo i pochi anni successivi. Le proiezioni del CBO sono in gran parte determinate dalle leggi correnti (ex: la legislazione che determina la spesa governativa e le tasse, come i mandati sulla riduzione del deficit). Comunque, le proiezioni del CBO non hanno una corrispondenza degli stock e dei flussi e non adottano l'approccio dei bilanci dei tre settori (questo faceva impazzire Godley). In altre parole, erano incoerenti. Ma date le proiezioni sull'andamento del bilancio governativo, sulla crescita del PIL e altre stime empiriche di vari parametri economici (propensione al consumo e all'importazione, per esempio), si può produrre un modello con coerenza di stock e di flussi che produca i bilanci settoriali implicati e l'andamento del debito. Il Levy Institute spesso osserva che i tassi di crescita economica (ad esempio) più le proiezioni di deficit governativo usate nelle previsioni del CBO implicano bilanci altamente inverosimili negli altri due settori (privato nazionale ed estero) come anche degli indici di indebitamento privato. Per fare questo tipo di analisi, dovete andare oltre le semplici identità contabili.

Passività->risparmi e debiti->ricchezza. Abbiamo stabilito nei blog precedenti che i deficit di un settore devono eguagliare i surplus di (almeno) uno degli altri settori. Abbiamo stabilito anche che i debiti di un settore devono uguagliare la ricchezza finanziaria di (almeno) uno degli altri settori. Fino a qui, tutto consegue dai principi di macro contabilità. L'economista, comunque, desidera dire di più, perché come tutti gli scienziati, gli economisti sono interessati sulla causazione. L'economia è una scienza sociale, ovvero, la scienza di sistemi sociali straordinariamente complessi nei quali la causazione non è mai semplice perché i fenomeni economici sono soggetti ad interdipendenza, isteresi, causazione cumulativa, e così via. Comunque, possiamo dire qualcosa sulla relazione causale tra gli stock e i flussi che abbiamo discusso nei blog precedenti. Alcuni lettori noteranno che le connessioni causali adottate qui seguono dalla teoria Keynesiana.

a)La spesa individuale è in gran parte determinata dai redditi. Il nostro punto di partenza sarà la decisione di spendere del settore privato. Per l'individuo, sembra plausibile sostenere che il reddito determina ampiamente la spesa perché uno che non ha reddito è sicuramente vincolato duramente quando decide di acquistare beni o servizi. Comunque, di riflesso è evidente che persino a livello individuale, il collegamento tra redditi e spesa è lasco—uno può spendere meno del suo reddito, accumulando beni finanziari al netto, o uno può spendere di più del suo reddito emettendo passività finanziarie e diventando in tal modo indebitato. Comunque, al livello individuale delle famiglie o delle aziende, la direzione della causazione va in gran parte dai redditi alla spesa anche se la corrispondenza tra i due flussi non è perfetta. C'è poco motivo di credere che la spesa di uno determini significativamente i suoi redditi.

b)I deficit creano ricchezza finanziaria. Possiamo anche dire qualcosa sulla direzione della causazione riguardo all'accumulo di ricchezza finanziaria al livello degli individui. Se una famiglia od un'azienda decide di spendere più dei suoi introiti (andando in deficit di bilancio), può emettere delle passività per finanziare gli acquisti. Queste passività saranno accumulate come ricchezza finanziaria netta da un'altra azienda o un'altra famiglia o da un governo che sta risparmiando (che sta avendo un surplus di bilancio). Naturalmente, perché si verifichi questo accumulo di ricchezza finanziaria al netto, dobbiamo avere una famiglia, un'azienda o un governo che voglia accumulare ricchezza nella forma di passività di quell'emettitore. Possiamo dire che “serve essere in due per ballare il tango”. Comunque, è la decisione di spendere a deficit che è la causa di avvio della creazione di ricchezza finanziaria. Non importa quanto gli altri vogliano accumulare ricchezza finanziaria, non lo potranno fare a meno che non ci sia qualcuno che intenda spendere a deficit. È vero anche che la famiglia o l'impresa non sarà in grado di spendere deficit a meno che non possa vendere i beni accumulati o trovare qualcuno che voglia detenere le sue passività. Possiamo supporre che ci sia una propensione (o desiderio) di accumulare ricchezza finanziaria netta.
Questo non significa che ogni singola azienda o famiglia potrà emettere passività potendo così spendere a deficit, ma garantisce che molte aziende e famiglie troveranno chi vuole detenere il loro debito. E nel caso di un governo sovrano, c'è un potere speciale—la capacità di tassare—che virtualmente garantisce che le famiglie e le imprese vorranno accumulare il debito del governo. (E' un argomento che porteremo avanti in seguito.) Concludiamo che la causalità è complicata,e mentre “serve essere in due per ballare il tango”, la causazione tende ad andare dalla spesa a deficit degli individui all'accumulo di ricchezza finanziaria, a dal debito alla ricchezza finanziaria. Poiché l'accumulazione di uno stock di ricchezza finanziaria consegue da un avanzo di bilancio, ossia, un flusso di risparmio, possiamo anche concludere che la causalità tende ad andare dalla spesa a deficit al risparmio.

c)La spesa aggregata crea reddito complessivo. A livello aggregato, prendendo l'economia nel suo insieme, la causazione è ancora più netta. Una società non può decidere di avere più entrate, ma può decidere di spendere di più. Inoltre, tutte le spese devono essere ricevute da qualcuno, da qualche parte, come reddito. Infine, come discusso in precedenza, la spesa non è necessariamente vincolata dalla entrate perché è possibile spendere più delle entrate per le famiglie,le imprese, o per il governo. Infatti, come abbiamo detto, per ognuno dei tre principali settori è possibile registrare un deficit con almeno uno degli altri che eseguono un surplus. Tuttavia, non è possibile che la spesa a livello aggregato sia diversa dal reddito aggregato poiché la somma dei saldi settoriali deve essere zero. Per tutti questi motivi, quando guardiamo al livello aggregato dobbiamo invertire la causalità tra la spesa e le entrate: mentre a livello individuale le entrate causano la spesa, al livello aggregato la spesa causa le entrate.

d)I deficit in un settore creano eccedenze in un altro. Precedentemente abbiamo mostrato che i deficit di un settore sono per identità pari alla somma delle eccedenze di bilancio degli altri/o settori/e. Se dividessimo l'economia in tre settori (settore privato nazionale, settore pubblico nazionale e settore estero), allora se un settore registrasse un deficit almeno un altro dovrebbe registrare un surplus. Proprio come nel caso della nostra analisi dei saldi individuali, bisogna "essere in due per ballare il tango", nel senso che un settore non può essere eseguire un deficit a meno che nessun altro settore registri un surplus. Allo stesso modo, possiamo dire che un settore non può emettere debito a meno che un altro settore non sia disposto ad accumulare i titoli di debito.

Naturalmente, gran parte del debito emesso nell'ambito di un settore sarà tenuto da altri attori dello stesso settore. Per esempio, se guardiamo alle finanze del settore privato nazionale troveremo che la maggior parte del debito aziendale è detenuto da imprese e famiglie nazionali. Nella terminologia che abbiamo introdotto in precedenza, questo è "debito interno" di quelle imprese e famiglie che hanno un deficit di bilancio, detenuto come "ricchezza interna" dalle famiglie e dalle imprese che hanno eccedenze di bilancio.
Tuttavia, se il settore privato nazionale nel suo complesso spende più dei suoi introiti, si deve emettere "debito esterno" che verrà tenuto come "ricchezza esterna" da almeno uno degli altri due settori (settore pubblico nazionale e settore estero).
Poiché la causa di avvio di un deficit di bilancio è il desiderio di spendere di più degli introti, la causalità va per lo più nella direzione dai deficit ai surplus e dal debito alla ricchezza finanziaria netta. Mentre riconosciamo che non c'è un settore che possa andare in disavanzo senza che uno voglia andare in surplus, di solito non è un problema perché c'è una propensione a risparmiare attivi finanziari al netto. Vale a dire, c'è un desiderio di accumulare ricchezza finanziaria—che per definizione è una passività di qualcuno.

Conclusione. Prima di passare alla conclusione è necessario sottolineare che tutto in questo blog (così come Blog # 2) si applica alla macro contabilità di qualsiasi paese. Mentre in questi esempi abbiamo usato il dollaro, tutti i risultati si possono applicare indipendentemente dalla valuta utilizzata. La nostra equazione di macro bilancio fondamentale,

Bilancio privato nazionale + Bilancio pubblico nazionale + saldo estero = 0

si applicherà in modo rigoroso alla contabilità dei saldi in qualsiasi valuta. All'interno di un paese ci possono essere anche flussi (che si andranno accumulando in stock) in una valuta estera, e ci sarà una equazione di macro bilancio anche in quella valuta.

Si noti che non cambia nulla se espandiamo il nostro modello per includere un certo numero di paesi diversi, ognuno dei quali emetta la propria valuta. Ci sarà un' equazione di macro bilancio per ciascuno di questi paesi e per ognuna delle valute. Singole imprese o famiglie (o, se è per questo, governi) possono accumulare delle attività finanziarie al netto denominate in diverse valute; vice versa, singole imprese o famiglie (o governi) possono emettere debiti al netto denominati in più monete diverse. Può diventare persino più complicato, con un singolo che va in deficit in una valuta e in surplus in un'altra (emettendo debito in una moneta ed accumulando ricchezza in un'altra). Eppure, per ogni nazione e per ogni moneta ci sarà una equazione di macro bilancio.

OK questo è abbastanza per questa settimana. Posso ricordare a commentatori e agli interroganti che questo è un Primer? Raccoglieremo domande e commenti fino a Mercoledì e quindi inseriremo una risposta. Apprezziamo commenti e domande direttamente connessi a questo blog. Non vogliamo davvero i commenti di coloro che hanno già esaminato e respinto MMT.

domenica 19 febbraio 2012

MMP BLOG 3: RECENT USA SECTORAL BALANCES: GOLDILOCKS, THE GLOBAL CRASH, AND THE PERFECT FISCAL STORM

Fonte: http://www.neweconomicperspectives.org/2011/06/recent-usa-sectoral-balances-goldilocks.html
Traduzione a cura di Niccolò Sgaravatti

RECENT USA SECTORAL BALANCES: GOLDILOCKS, THE GLOBAL CRASH, AND THE PERFECT FISCAL STORM

In the previous blog, we did some heavy lifting. Unless you are an economics or accounting nerd, you found it quite boring. This week we will take a little break from pure accounting, and apply what we’ve learned to a real world example. By now, long-time readers are quite familiar with the NEP’s approach to the GFC (global financial crisis). Let us revisit the Clintonian Goldilocks economy to find the seeds of the GFC, using our sectoral balance approach.



To be clear, what follows uses our sectoral balances identity plus some real world data to provide an interpretation of the causes of the crash. As always, interpretations are subject to disagreement. The identity as well as the data are not. (You can of course always begin analysis with other identities and other data.) Next week we return to a bit more accounting.


Back in 2002 I wrote a paper announcing that forces were aligned to produce the perfect fiscal storm. (I note that in recent days a few analysts—including Nouriel Roubini—have picked up that terminology.) What I was talking about was a budget crisis at the state and local government levels. I had recognized that the economy of the time was in a bubble, driven by what I perceived to be unsustainable deficit spending by the private sector—which had been spending more than its income since 1996. As we now know, I called it too soon—the private sector continued to spend more than its income until 2006. The economy then crashed—a casualty of the excesses. What I had not understood a decade ago was just how depraved Wall Street had become. It kept the debt bubble going through all sorts of lender fraud; we are now living with the aftermath.

Still, it is worthwhile to return to the so-called “Goldilocks” period (mid to late 1990s, said to be “just right”, with growth sufficiently strong to keep unemployment low, but not so swift that it caused inflation) to see why economists and policymakers still get it wrong. As I noted in that earlier paper,


It is ironic that on June 29, 1999 the Wall Street Journal ran two long articles, one boasting that government surpluses would wipe out the national debt and add to national saving—and the other scratching its head wondering why private saving had gone negative. The caption to a graph showing personal saving and government deficits/surpluses proclaimed “As the government saves, people spend”. (The Wall Street Journal front page is reproduced below.) Almost no one at the time (or since!) recognized the necessary relation between these two that is implied by aggregate balance sheets. Since the economic slowdown that began at the end of 2000, the government balance sheet has reversed toward a deficit that reached 3.5% of GDP last quarter, while the private sector’s financial balance improved to a deficit of 1% of GDP. So long as the balance of payments deficit remains in the four-to-five percent of GDP range, a private sector surplus cannot be achieved until the federal budget’s deficit rises beyond 5% of GDP (as we’ll see in a moment, state and local government will continue to run aggregate surpluses, increasing the size of the necessary federal deficit). [I]n recession the private sector normally runs a surplus of at least 3% of GDP; given our trade deficit, this implies the federal budget deficit will rise to 7% or more if a deep recession is in store. At that point, the Wall Street Journal will no doubt chastise: “As the people save, the government spends”, calling for a tighter fiscal stance to increase national saving!




Turning to the international sphere, it should be noted that US Goldilocks growth was not unique in its character. [P]ublic sector balances in most of the OECD nations tightened considerably in the past decade--at least in part due to attempts to tighten budgets in line with the Washington Consensus (and for Euroland, in line with the dictates of Maastricht criteria). (Japan, of course, stands out as the glaring exception—it ran large budget surpluses at the end of the 1980s before collapsing into a prolonged recession that wiped out government revenue and resulted in a government deficit of nearly 9% of GDP.) Tighter public balances implied deterioration of private sector balances. Except for the case of nations that could run trade surpluses, the tighter fiscal stances around the world necessarily implied more fragile private sector balances. Indeed, Canada, the UK and Australia all achieved private sector deficits at some point near the beginning of the new millennium. (Source: L. Randall Wray, “The Perfect Fiscal Storm” 2002, available at
http://www.epicoalition.org/docs/perfect_fiscal_storm.htm
)
SUI RECENTI BILANCI SETTORIALI USA: GOLDILOCKS, IL CROLLO GLOBALE E LA TEMPESTA FINANZIARIA PERFETTA

Nel blog precedente, abbiamo fatto un po'di lavoro pesante. Lo avrete trovato piuttosto noioso, a meno che non siate nerd di economia o di contabilità. Questa settimana ci prendiamo una piccola pausa dalla contabilità pura e applichiamo ciò che abbiamo imparato ad un esempio del mondo reale. Ormai, i lettori storici sono piuttosto familiari con l'approccio di NEP alla CFG (crisi finanziaria globale). Rivisitiamo l'economia clintoniana di Goldilocks per trovare i semi della CFG, partendo dalla nostra prospettiva dei bilanci settoriali.

Per essere chiari, ciò che segue utilizza la nostra identità dei bilanci settoriali più alcuni dati del mondo reale per fornire un'interpretazione delle cause del crollo. Come sempre, le interpretazioni sono soggette a disaccordo. Le identità e dati non lo sono. (Naturalmente, voi potete fondare le vostre analisi su altre identità ed altri dati.) La settimana prossima ritorneremo ancora un po' alla contabilità.

Nel 2002 scrissi un articolo annunciando che le forze erano allineate per produrre la tempesta finanziaria perfetta. (Noto che recentemente alcuni analisti—tra i quali Nouriel Roubini—hanno adottato questa espressione.)Ciò di cui stavo parlando era una crisi di bilancio a livello statale e amministrativo locale. Avevo riconosciuto che l'economia di allora era in una bolla, guidata da ciò che io percepivo essere un'insostenibile spesa a deficit del settore privato—che dal 1996 spese più delle sue entrate. Come sappiamo, lo dissi troppo presto—il settore privato continuò a spendere più delle sue entrate fino al 2006. L'economia poi crollò—una vittima degli eccessi. Ciò che non avevo capito dieci anni fa era solamente quanto fosse divenuta depravata Wall Street. Tenne in essere la bolla del debito attraverso tutti i tipi di frode del prestatore; e noi ne stiamo vivendo le conseguenze.

Comunque, vale la pena di tornare al cosiddetto periodo “Goldilocks” (dalla metà fino alla fine degli anni '90, detto un periodo “proprio giusto”, con crescita sufficientemente forte da tenere la disoccupazione bassa, ma non così rapida da causare inflazione) per vedere dove gli economisti e i responsabili politici si sbagliarono. Come notai in un articolo precedente,

E' ironico che il 29 Giugno 1999 il Wall Street Journal abbia mandato due lunghi articoli, uno che esultava perché il surplus del governo avrebbe spazzato via il debito pubblico e incrementato i risparmi nazionali—e nell'altro ci si grattava la testa chiedendosi perché i privati fossero andati in rosso. C'era un grafico che mostrava i risparmi personali e i deficit/surplus governativi la cui didascalia proclamava “Come il governo risparmia, la gente spende”.(La prima pagina del Wall Street Journal è riprodotta sotto). Quasi nessuno allora (o da allora!) riconobbe la necessaria relazione che esiste tra questi due fatti, implicata dai bilanci aggregati. Dal rallentamento economico che iniziò alla fine del 2000, il bilancio del governo si rovesciò verso un deficit che raggiunse il 3.5% del PIL l'ultimo trimestre, mentre il bilancio finanziario del settore privato migliorò fino a raggiungere un deficit dell'1% del PIL. Fintanto che il deficit della bilancia commerciale rimane nell'intervallo tra il 4 e il 5% del PIL, un surplus del settore privato non può essere ottenuto senza che il deficit del bilancio federale salga oltre il 5% del PIL (come vedremo tra un momento, lo stato e le amministrazioni locali continuarono ad andare in surplus di bilancio, incrementando la quantità di deficit federale necessaria). In recessione il settore privato normalmente va in un surplus di almeno il 3% del PIL; dato il nostro deficit commerciale; ciò implica una crescita del deficit del bilancio federale fino al 7% o più se c'è una profonda recessione alle porte. A questo punto, il Wall Street Journal castiga senza dubbi: “Come la gente risparmia, il governo spende”, chiedendo una politica fiscale più dura per incrementare il risparmio nazionale!

Se guardiamo la sfera internazionale, dovremmo notare che la crescita Goldilocks USA non era unica nel suo genere. I bilanci pubblici in molte nazioni OCSE si sono stretti considerevolmente nell'ultimo decennio—almeno in parte a causa dei tentativi di allinearli con il Washington Consensus (e, per Eurlandia, con i dettami dei parametri di Maastricht). (Il Giappone, naturalmente, si distingue come l'eccezione lampante—ha registrato grandi surplus di bilancio alla fine degli anni 1980 prima di collassare in una recessione prolungata che ha spazzato via le entrate statali e che ha portato un disavanzo pubblico di circa il 9% del PIL.
Le strette sui bilanci pubblici hanno implicato il deterioramento dei bilanci del settore privato.
Fatta eccezione per le nazioni che poterono andare in surplus di commercio, le politiche fiscali più dure nel mondo hanno implicato l'indebolimento dei bilanci del settore privato. Infatti, Canada, il Regno Unito e l'Australia hanno tutte registrato deficit del settore privato a qualche punto verso l'inizio del nuovo millennio. (Fonte: L. Randall Wray, “The Perfect Fiscal Storm” 2002, disponibile a
"http://www.epicoalition.org/docs/perfect_fiscal_storm.htm
)




Let us revisit “Goldilocks” and see what lessons we can learn from “her” that help us to understand the Global Financial Collapse that began in 2007. As we now know, my short-term projections predicting the demise of Goldilocks into a recession were not too bad, but the medium-term projections were off. The Bush deficit did grow to 5% of GDP, helping the economy to recover. But then the private sector moved right back to huge deficits as lender fraud fuelled a real estate boom as well as a consumption boom (financed by home equity loans). See the chart below (thanks to Scott Fullwiler). Note that we have divided each sectoral balance by GDP (since we are dividing each balance by the same number—GDP—this does not change the relationships; it only “scales” the balances). This is a convenient scaling that we will use often in the MMP. Since most macroeconomic data tends to grow over time, dividing by GDP makes it easier to plot (and rather than dealing with trillions of dollars—so many zeroes!—we express everything as a percent of total spending).

Ritorniamo a “Goldilocks” e vediamo che lezione possiamo apprendere da “lei”per comprendere il Collasso Finanziario Mondiale che iniziò nel 2007. Come sappiamo ora, le mie proiezioni a breve temine che vedevano la decadenza di Goldilocks in una recessione non erano troppo sbagliate, ma le mie previsioni a medio-termine erano scorrette. Il deficit con Bush crebbe al 5% del PIL, aiutando l'economia a riprendersi. Il settore privato però ritornò a enormi deficit quando la frode del prestatore spinse il boom mercato immobiliare di concerto con il boom dei consumi (finanziato dai mutui sulla partecipazione della casa). Vedete il grafico sotto (grazie a Scott Fullwiler). Notate che abbiamo diviso ogni bilancio settoriale rispetto al PIL (poiché dividendo ogni bilancio per lo stesso numero—il PIL—non cambiamo le relazioni; ma diamo solamente “una scala” ai bilanci). È un modo di dimensionare che useremo spesso nel MMP. Poiché molti dati macroeconomici tendono a crescere con il tempo, dividere per il PIL rende il quadro più chiaro (e anziché trattare con i trilioni di dollari—quanti zeri!—esprimiamo tutto come percentuale della spesa totale).



This chart shows the “mirror image”: a government deficit from 1980 through to the Goldilocks years is the mirror image of the domestic private sector’s surplus plus our current account deficit (shown as a positive number because it reflects a positive capital account balance—the rest of the world runs a positive financial balance against us). (Note: the chart confirms what we learned from Blog #2: the sum of deficits and surpluses across the three sectors must equal zero.) During the Clinton years as the government budget moved to surplus, it was the private sector’s deficit that was the mirror image to the budget surplus plus the current account deficit.


This mirror image is what the Wall Street Journal had failed to recognize—and what almost no one except those following the Modern Money approach as well as the Levy Economic Institute’s researchers who used Wynne Godley’s sectoral balance approach understand. After the financial collapse, the domestic private sector moved sharply to a large surplus (which is what it normally does in recession), the current account deficit fell (as consumers bought fewer imports), and the budget deficit grew mostly because tax revenue collapsed as domestic sales and employment fell.


Unfortunately, just as policymakers learned the wrong lessons from the Clinton administration budget surpluses—thinking that the federal budget surpluses were great while they actually were just the flip side to the private sector’s deficit spending—they are now learning the wrong lessons from the global crash after 2007. They’ve managed to convince themselves that it is all caused by government sector profligacy. This, in turn has led to calls for spending cuts (and, more rarely, tax increases) to reduce budget deficits in many countries around the world (notably, in the US and UK).


The reality is different: Wall Street’s excesses led to too much private sector debt that crashed the economy and reduced government tax revenues. This caused a tremendous increase of federal government deficits. {As a sovereign currency-issuer, the federal government faces no solvency constraints (readers will have to take that claim at face value for now—it is the topic for upcoming MMP blogs).} However, the downturn hurt state and local government revenue. Hence, they responded by cutting spending, laying-off workers, and searching for revenue.



The fiscal storm that killed state budgets is the same fiscal storm that created the federal budget deficits shown in the chart above. An economy cannot lose about 8% of GDP (due to spending cuts by households, firms and local and state governments) and over 8 million jobs without negatively impacting government budgets. Tax revenue has collapsed at an historic pace. Federal, state, and local government deficits will not fall until robust recovery returns—ending the perfect fiscal storm.



Robust recovery will reduce the overall government sector’s budget deficit as the private sector reduces its budget surplus. It is probable that our current account deficit will grow a bit when we recover. If you want to take a guess at what our “mirror image” in the graph above will look like after economic recovery, I would guess that we will return close to our long-run average: a private sector surplus of 2% of GDP, a current account deficit of 3% of GDP and a government deficit of 5% of GDP. In our simple equation it will look like this:

Private Balance (+2) + Government Balance (-5) + Foreign Balance (+3) = 0.

And so we are back to the concept of zero!

Questo grafico mostra la “immagine a specchio”: il deficit pubblico dal 1980 fino agli anni di Goldilocks è l'immagine rispecchiata del surplus del settore privato interno più il nostro disavanzo delle partite correnti (mostrato come un numero positivo poiché riflette un saldo positivo del conto dei capitali—il resto del mondo ha un saldo finanziario positivo nei nostri confronti).(Nota: il grafico conferma cosa abbiamo imparato dal Blog#2:la somma dei deficit e dei surplus tra i tre settori deve essere uguale a zero.) Durante gli anni di Clinton, come il bilancio di governo è andato verso il surplus, è stato il deficit del settore privato a fare da immagine specchio al surplus di bilancio più il disavanzo delle partite correnti.

Questa immagine a specchio e ciò che il Wall Street Journal non è riuscito a distinguere—e ciò che nessuno, tranne quelli che seguono l'approccio della Moneta Moderna e i ricercatori del Levy Economic Instute che usano l'approccio dei bilanci settoriali di Wynne Godley, capisce. Dopo il collasso finanziario, il settore privato interno ha iniziato a risparmiare fortemente (che è ciò che fa normalmente in recessione), il deficit delle partite correnti è sceso (perché i consumatori compravano meno importazioni), ed il deficit di bilancio è cresciuto soprattutto perché le entrate fiscali crollarono con la discesa delle vendite interne e dell'impiego.

Sfortunatamente, proprio come i responsabili politici hanno imparato la lezione sbagliata dai surplus di bilancio dell'amministrazione Clinton—pensando che i surplus di bilancio di Clinton fossero un successo mentre erano solo l'altra faccia della spesa a deficit del settore privato—adesso stanno imparando la lezione sbagliata dal crollo globale iniziato nel 2007. Loro sono riusciti a convincersi che tutto è causato dalla dissolutezza del settore governativo. Questo, a sua volta, ha portato ad appelli per tagliare le spese (e, più raramente, per aumentare le tasse) per ridurre i deficit di bilancio in molte nazioni nel mondo (in particolare, negli USA e nel Regno Unito).

La realtà è diversa: gli eccessi di Wall Street hanno portato ad un eccesso di indebitamento del settore privato che ha fatto crollare l'economia e ridotto le entrate fiscali del governo. Ciò ha causato un tremendo aumento dei deficit del governo federale.{Come emettitore di moneta sovrana, il governo federale non deve fare i conti con vincoli di solvibilità (i lettori dovranno prendere temporaneamente per buona questa affermazione—sarà argomento per dei blog MMP a venire).} Comunque, la crisi ha colpito le entrate dello stato e delle amministrazioni locali. Allora loro hanno risposto con tagli alla spesa, licenziamenti di lavoratori, e ricerca di entrate.

La tempesta finanziaria che ha assassinato i bilanci dello stato è la stessa tempesta finanziaria che ha creato i deficit di bilancio mostrati nel grafico sopra. Una economia non può perdere l'8% circa del PIL (a causa di tagli alla spesa delle famiglie, delle aziende e dei governi locali e statali) e più di 8 milioni di posti di lavoro senza avere un impatto negativo sul bilancio dello stato. Le entrate fiscali sono collassate a ritmi mai visti prima. I deficit del governo federale, statale, e locale non scenderanno prima che torni una ripresa robusta—che ponga fine alla tempesta finanziaria perfetta.

Una ripresa robusta ridurrà il deficit di bilancio complessivo del settore statale quando il settore privato ridurrà il suo surplus di bilancio. E' probabile che in nostro deficit delle partite correnti salirà un po' quando saremo in ripresa. Se volete ricevere una previsione di come apparirà la nostra “immagine a specchio”nel grafico sopra dopo la ripresa economica, io prevederei che ritorneremo vicini alla nostra media nel lungo periodo: un surplus del settore privato del 2% del PIL, un deficit delle partite correnti del 3% del PIL ed un deficit del governo del 5% del PIL. Nella nostra semplice equazione ciò si esprimerà così:
Bilancio Privato (+2) + Bilancio del Governo (-5) + Bilancio Estero (+3) = 0
Ecco che siamo tornati al concetto di zero!

martedì 14 febbraio 2012

MMP Blog #13: Commodity Money Coins? Metalism versus Nominalism, Part Two

Fonte: neweconomicperspectives.org
Traduzione a cura di Marco Sciortino


MMP BLOG #13: COMMODITY MONEY COINS? METALISM VS NOMINALISM, PART TWO
By L. Randall Wray


Last week we examined the origins of coins, arguing that coinage is a relatively recent development. From the beginning, coins did have precious metal content. We examined a hypothesis for that, because from the MMT view, the “money thing” is simply a “token” or record of debt. If that is true, why “stamp” the record on precious metal? For thousands of years, debts were recorded on clay or wood or paper. Why the switch? We argued that the origins of coins in ancient Greece must be placed in the specific historical context of that society. Use of precious metal was not a coincidence, but also was not consistent with the commodity money view. While it is true that use of precious metal was important and perhaps even critical, this was for social reasons and was tied to the rise of the democratic polis. This week we examine coinage from Roman times to the present in Western society.





Roman coins also contained precious metal. But there is very little doubt that Roman law adopted what is called “nominalism”—the nominal value of the coin is determined by the authorities, not by the value of embodied metal in the coin (termed “metalism”). The coin system was well-regulated and although precious metal content changed across coinages, there was no significant problem with debasement or inflation. In Roman law, one could deposit a sack of particular coins (in sacculo) and when repaid demand the same coins to be returned (vindication). However, if one were owed a sum of money (rather than specific coins), one had to accept in payment any combination of coins tendered that were “money of the realm”—officially sanctioned coins with payment enforced in court (condictio).



This practice continued through the early modern period, in which one deposited for safe keeping either sealed sacks of coins (and could demand exactly the same coins back in the still-sealed bag) or loose coins (in which case, any legal coins had to be accepted). Hence, “nominalism” prevailed in the general although what appears to be a form of “metalism” applied to specific coins in sacculo.*



In reality, it had more to do with the view that coins were a “moveable chattel”, something the owner had a property interest in. However, once the owner’s loose coins were mixed with other coins, there was “no earmark”—no way of determining specific ownership and hence the claimant only had a claim to be repaid in legal money—the legalis moneta Angliae, for example in England, which was stipulated to be a sum of “sterlings”. There was no sterling coin (indeed, England did not even coin the Pound, its money of account), rather, the debt was paid up by providing the appropriate sum of coins declared lawful money by the Crown—and could include foreign coins—at the nominal value dictated by the King.




The authorities that issued coins were free to change the metal content at each coinage; penalties for refusing to accept a sovereign’s coin in payment at the value stated by the sovereign were severe (often, death). Still, there is the historical paradox that when the King was paid in coin (in fees, fines and taxes), he would have them weighed—and reject or accept at lower value the coins that were low weight. If coins were really valued nominally, why bother weighing them? Why did the issuer—the King—appear to have a double standard, one nominalist, one metalist?


In private circulation, sellers also favored “heavy” coins—those that weighed more, or that were of higher fineness (more precious metal content). They certainly did not want to find themselves in the situation of trying to make payments to the Crown with low weight coins. Hence, a “Gresham’s Law” would operate: everyone wanted to pay in “light” coins, but to be paid in “heavy coins”. There was thus obvious concern with the metal content of coins, and fairly accurate (and quite tiny) scales were manufactured and sold to weigh coins individually. This makes it appear to modern historians (and economists) that “metalism” reigned: the value of coins was determined by metal content.


And yet we see in the courts rulings indications that the law favored a nominalist interpretation: any legal coin had to be accepted. And we see Kings who imposed long prison terms (the sentence was usually to serve “at the King’s pleasure”—a nice way of putting it! One can just imagine the King’s pleasure at holding indefinitely those who refused his coins.), or death, for refusing any coin deemed legal. It all appears so confusing! Was it nominal or was it metal?


The final piece of the puzzle appears to be this: until modern minting techniques were invented (including milling and stamping), it was relatively easy to “clip” coins—cut some of the metal off the edge. They could also be rubbed to collect grains of the metal. (Even normal wear and tear rapidly reduced metal content; gold coins in particular were soft. For that reason they were particularly ill-suited as an “efficient medium of exchange”—yet another reason to doubt the metalist story.)



This is why the King had them weighed to test for clipping. (As you can imagine the penalty for clipping was severe, including death.) If he did not, he would be the victim of Gresham’s Law; each time he recoined he would have less precious metal to work with. But because he weighed the coins, everyone else also had to avoid being on the wrong side of Gresham’s Law. Again, far from being an “efficient medium of exchange”, we find that use of precious metals set up a destructive dynamic that would only finally resolved with the move to paper money! (Actually, even paper is less than ideal; perhaps some readers have experienced problems getting older paper money accepted—as I did even in Italy before it adopted the euro—due to Gresham Law dynamics. Thank goodness for computers and keystrokes and LEDs.)




Kings sometimes made those dynamics worse—by recanting his promise to accept his old coined IOUs at previously agreed upon values. This was the practice of “crying down” the coins. Until recent times, coins did not have the nominal value stamped on them—they were worth what the King said they were worth at his “pay houses”. To effectively double the tax burden, he could announce that all the outstanding coins were worth only half as much as their previous value. Since this was the prerogative of the sovereign, holders could face some uncertainty over the nominal value. This was another reason to accept only heavy coins—no matter how much the King cried down the coins, the floor value would be equal to the value of the metallic content. Normally, however, the coins would circulate at the higher nominal value set by the sovereign, and enforced by the court and the threat of severe penalties for refusing to accept the coins at that value.






There is also one more aspect to the story. With the rise of the Regal predecessors to our modern state, there were the twin and related phenomena of Mercantilism and foreign wars. Within an empire or state, the sovereign’s IOUs are sufficient “money things”: so long as the sovereign takes them in payment, its subjects or citizens will also accept them. Any “token” will do—it can be metal, paper, or electronic entries. But outside the boundaries of the authority, mere tokens might not be accepted at all. In some respects, international trade and international payments are more akin to barter unless there is some universally accepted “token” (like the US Dollar today).



Put it this way: why would anyone in France want the IOU of France’s sworn enemy, the King of England? Outside England, the King’s coins might circulate only at the value of precious metal contained in them. Metalism as a theory might well apply as a sort of floor to the value of a King’s IOU: at worst, it cannot fall in value much below gold content as it can be melted for bullion.



And that leads us to the policy of Mercantilism, and also to the conquest of the New World. Why would a nation want to export its output, only to have silver and gold return to fill the King’s coffers? And why the rush to the New World to get gold and silver? Because the gold and silver were needed to conduct the foreign wars, which required the hiring of mercenary armies and the purchase of all the supplies needed to support those armies in foreign lands. (England did not have huge aircraft to parachute the troops and supplies into France—instead they hired mainland troops and bought the supplies from the local outfitters.) There was a nice vicious circle in all this: the wars were fought both by and for gold and silver!




And it made for a monetary mess in the home country. The sovereign was always short of gold and silver, hence had a strong incentive to debase the currency (to preserve metal to fund the wars), while preferring payment in the heaviest coins. The population had a strong incentive to refuse the light coins in payment, while hoarding the heavy coins. Or, sellers could try to maintain two sets of prices—a lower one for heavy coins and a high one for light coins. But that meant toying with the gallows.



The mess was resolved only very gradually with the rise of the modern nation state, a clear adoption of nominalism in coinage, and—finally—with abandonment of the long practiced phenomenon of including precious metal in coins.

And with that we finally got our “efficient media of exchange”: pure IOUs recorded electronically. Precious metal coins were always records of IOUs, but they were imperfect. And boy have they misled historians and economists!

Admittedly, I have not yet made a thorough case that money must be an IOU, not a commodity. We need some more building blocks first.
References

* I thank Chris Desan, David Fox, and other participants of a recent seminar at Cambridge University for the discussion I draw upon here.
MONETA - MERCE? METALLISMO VS NOMINALISMO, PARTE DUE
Di L. Randall Wray


La scorsa settimana abbiamo esaminato le origini del denaro, sostenendo che la coniazione sia uno sviluppo relativamente recente. Sin dagli inizi, il denaro ha avuto un contenuto di metallo prezioso. Abbiamo esaminato un'ipotesi per ciò, poiché dal punto di vista della MMT, la "moneta oggetto" è semplicemente un "gettone" o una registrazione di un debito. Se ciò è vero, perché "stampare" la registrazione in metallo prezioso? Per migliaia di anni, i debiti vennero registrati nell'argilla, nel legno o nella carta. Come mai il mutamento? Abbiamo sostenuto che le origini del denaro nella Grecia arcaica devono essere poste nello specifico contesto storico di quella società. L'utilizzo del metallo prezioso non fu una coincidenza, ma non era nemmeno coerente con la visione della moneta-merce. Mentre è vero che l'utilizzo di metalli preziosi era importante e probabilmente persino cruciale, questo per motivi sociali ed era legato alla ascesa della democratica polis. Questa settimana esaminiamo la coniazione dai tempi dei romani fino al presente nella società occidentale.

Anche le monete romane contenevano metallo prezioso. Ma ci sono davvero pochi dubbi circa il fatto che il Diritto Romano ha adottato quello che viene chiamato "nominalismo" — il valore del denaro viene determinato dalle autorità, non dal valore del metallo incorporato in esso (denominato "metallismo"). Il sistema monetario era ben regolato e sebbene il contenuto di metallo prezioso cambiava attraverso le coniazioni, non c'erano problemi significativi con il deprezzamento o con l'inflazione. Nel Diritto Romano, si poteva depositare un sacco di particolari monete (in sacculo) e quando si doveva rimborsare si potevano richiedere gli stessi soldi indietro (vindication). Tuttavia, se si doveva una somma di denaro (anziché monete specifiche), si doveva accettare in pagamento qualsiasi combinazione di monete offerte, che erano "moneta del regno" — monete ufficialmente sancite con il pagamento forzato in tribunale (condictio).

Questa pratica continuò per tutto il periodo moderno, nel quale si depositavano in custodia sia sacchi sigillati di monete (e si potevano richiedere esattamente le stesse monete indietro nel sacco ancora sigillato), sia monete sfuse (nel qual caso, tutte le monete legali dovevano essere accettate). Per cui, il "nominalismo" prevalse in generale sebbene quella che appare una forma di "metallismo" si applicava alle specifiche monete in sacculo.*

In realtà, ciò aveva più a che fare con la considerazione che le monete erano un "bene mobile personale", qualcosa nel quale il titolare aveva un interesse patrimoniale. Tuttavia, una volta che le monete sfuse del titolare venivano mischiate con altre monete, non vi era "nessun marchio" — nessun modo di determinare la specifica titolarità e dunque il richiedente aveva solamente la pretesa di essere ripagato nella moneta legale — la legalis moneta Angliae, per esempio in Inghilterra, che fu istituita per essere una somma di "sterline". Non v'era nessuna sterlina in moneta (invero, l'Inghilterra non coniò neppure la Sterlina, la sua moneta di conto), piuttosto, i debiti venivano pagati dal fornire l'appropriata somma di monete dichiarate moneta legittima dalla Corona — e poteva includere monete straniere — al valore nominale dettato dal re.

Le autorità che emettevano moneta erano libere di cambiare il contenuto di metallo ad ogni coniazione; le punizioni per il rifiuto di ricevere la moneta del sovrano in pagamento nel valore stabilito dal sovrano erano severe (spesso, la morte). Ancora, v'è il paradosso storico che quando il re veniva pagato in denaro (in tributi, multe e tasse), lo avrebbe pesato — e rifiutato o accettato ad un valore inferiore le monete che pesavano meno. Se le monete erano veramente valutate nominalmente, perché la seccatura di pesarle? Perché l'emittente — il re — sembrava avere un doppio criterio, uno nominalista, uno metallista?

Nella circolazione privata, i venditori favorivano anche le monete "forti" — quelle che pesavano di più, o che erano di titolo più alto (più contenuto di metallo prezioso). Essi certamente non volevano trovarsi nella situazione di provare da loro ad effettuare pagamenti alla Corona con monete di basso peso. Per cui, opererebbe una "legge di Gresham": ognuno voleva pagare in monete "leggere", ma essere pagato in "monete forti". C'era quindi un'ovvia preoccupazione sul contenuto metallico delle monete, e abbastanza accurate (e piuttosto minuscole) bilance venivano prodotte e vendute individualmente per pesare le monete. Questo fa sembrare ai moderni storici (ed economisti) che il "metallismo" regnava: il valore delle monete era determinato dal contenuto di metallo.

E tuttavia vediamo nei tribunali sentenze che sono sintomo che la legge preferisce un'interpretazione nominalista: qualsiasi moneta legale doveva essere accettata. E troviamo re che imponevano lunghi periodi di prigione (la sentenza di solito serviva "al piacere del re" — un bel modo di metterla! Si può solo immaginare il piacere del Re nel detenere indefinitamente coloro che rifiutavano le sue monete), o la morte, per il rifiuto di qualunque moneta giudicata legale. Sembra tutto così confuso! Era nominalismo o era metallismo?

Il pezzo finale del puzzle sembra essere questo: fino a quando le moderne tecniche di coniazione furono inventate (inclusa la fresatura e lo stampaggio), era relativamente facile "ritagliare" le monete — tagliare una parte del metallo fuori dal bordo. Potevano anche essere raschiate per raccogliere granelli di metallo. (Addirittura il regolare consumo e lo spacco riducevano rapidamente il contenuto di metallo; le monete d'oro in particolare erano delicate. Per quella ragione erano a mala pena adatte come un "efficiente mezzo di scambio" — ancora un altro motivo per dubitare della versione metallista.

Ecco perché il re le pesava, per verificare se fossero state ritagliate. (Come potete immaginare le sanzioni per il ritaglio erano severe, inclusa la morte.) Se non lo avesse fatto, sarebbe stato vittima della legge di Gresham; ogni volta che riconiava avrebbe avuto meno metallo prezioso con cui operare. Ma siccome egli pesava le monete, anche tutti gli altri hanno dovuto evitare di essere dal lato sbagliato della legge di Gresham. Di nuovo, lungi dall'essere un "efficiente mezzo di scambio", riteniamo che l'uso di metalli preziosi ha impostato una dinamica distruttiva che si sarebbe risolta definitivamente solamente con il passaggio alla moneta cartacea! (In realtà, persino la carta è meno dell'ideale; probabilmente alcuni lettori avranno riscontrato problemi nel farsi accettare i soldi di carta vecchi — come capitò persino a me in Italia prima che adottasse l'euro — secondo le dinamiche della legge di Gresham. Grazie al cielo per i computer, i colpi di tastiera e i led.)

I re rendevano talvolta quelle dinamiche peggiori — dal rimangiarsi la loro promessa di accettare i loro vecchi pagherò (IOUs, soldi, si veda la prima parte... ndt) coniati, al precedente accordo in merito al valore. Questa era la pratica del "lasciar addormentare" ("crying down", letteralm. sarebbe "far smettere di piangere", ma il crying down è una tecnica per imparare ai bambini ad addormentarsi da soli, ndt) le monete. Fino a tempi recenti, le monete non avevano il valore nominale stampato su di esse — valevano quello che il re diceva valere nelle sue "pay houses". Per raddoppiare efficacemente la pressione fiscale, egli poteva annunciare che tutte le monete in circolazione valevano la metà del loro precedente valore. Dal momento che questa era la prerogativa del sovrano, i titolari potevano affrontare qualche incertezza in merito al valore nominale. Questo fu un altro motivo per accettare solo le monete forti — indipendentemente da quanto il re lasciava addormentare le monete, il valore di fondo sarebbe stato uguale al valore del contenuto metallico. Normalmente, tuttavia, le monete circolerebbero al più alto valore nominale imposto dal sovrano, e sarebbero imposte con la forza dal tribunale e dalla minaccia di severe punizioni per il rifiuto di accettarle a quel valore.

C'è anche un aspetto in più nella storia. Con l'ascesa dei predecessori regali alla nostra moderna situazione, vi erano i doppi e correlati fenomeni del mercantilismo e delle guerre estere. All'interno di un impero o di uno stato, i pagherò del sovrano sono sufficienti "monete oggetti": talmente tanto che il sovrano li prende in pagamento, ed i suoi sudditi o cittadini li accetteranno pure. Qualsiasi "gettone" lo sarà — può essere metallo, carta, o impulsi elettronici. Ma al di fuori dei confini dell'autorità, i meri gettoni potrebbero non essere accettati affatto. In alcuni aspetti, il commercio internazionale e i pagamenti internazionali sono più simili al baratto a meno che non ci sia qualche "gettone" universalmente accettato (come il dollaro USA oggi).

Mettiamola in questa maniera: per qual motivo qualcuno in Francia dovrebbe volere il pagherò del nemico giurato della Francia, il re d'Inghilterra? Al di fuori dell'Inghilterra, le monete del re potrebbero circolare al valore del metallo prezioso contenuto in esse. Il metallismo come teoria potrebbe ben applicarsi come una sorta di soglia minima al valore del pagherò di un re: nel peggiore dei casi, in valore non può diminuire tanto al di sotto del contenuto d'oro, in quanto può essere fuso come lingotto.

E ciò ci conduce alla politica del mercantilismo, e anche alla conquista del Nuovo Mondo.
Per quale ragione una nazione dovrebbe volere esportare i propri prodotti, solamente per avere ricavi in oro e argento in modo da riempire i forzieri del Re? E perché la corsa al Nuovo Mondo per ottenere oro e argento? Perché l'oro e l'argento erano necessari per condurre le guerre estere, le quali richiedevano l'assunzione di eserciti mercenari e l'acquisto di tutte le scorte necessarie per mantenere quegli eserciti nelle terre straniere. (L'Inghilterra non aveva enormi aeromobili per paracadutare le truppe e scortarle in Francia — invece essi assumevano truppe continentali e compravano le scorte dagli allestitori locali.) Vi era un simpatico circolo vizioso in tutto ciò: le guerre venivano combattute sia per che con l'oro e l'argento!

E ciò per un disordine monetario nel paese d'origine. Il sovrano era sempre a corto di oro e argento, pur cui aveva un forte incentivo nel deprezzare la valuta (per preservare metallo prezioso per finanziare le guerre), mentre preferiva i pagamenti nelle monete più forti. La popolazione aveva un forte incentivo nel rifiutare le monete leggere nei pagamenti, mentre faceva incetta di monete forti. Oppure, i venditori potevano provare a mantenere due tipi di prezzi — uno più basso per le monete forti ed uno alto per le monete leggere. Ma ciò significava scherzare col fuoco.

Il disordine fu risolto solamente molto gradualmente con l'avvento dei moderni stati nazionali, una chiara adozione del nominalismo nella coniazione, e — finalmente — con l'abbandono del fenomeno a lungo praticato di includere metallo prezioso nelle monete.

E con ciò otteniamo finalmente il nostro "efficiente mezzo di scambio": pure cambiali registrate elettronicamente. Le monete in metallo prezioso erano sempre registrazioni di cambiali, ma erano imperfette. E i ragazzi hanno indotto in errore gli storici e gli economisti!

Dichiaratamente, non ho ancora sviluppato un argomento approfondito circa il fatto che la moneta deve essere un pagherò, non una merce. Abbiamo bisogno di più elementi costitutivi prima.

Riferimenti
* Ringrazio Chris Desan, David Fox, e gli altri partecipanti di un recente seminario all'Università di Cambridge per la discussione che traggo qui.

lunedì 6 febbraio 2012

MMP BLOG #12: COMMODITY MONEY COINS? METALISM VS. NOMINALISM, PART ONE

Ringrazio Marco Sciortino e pubblico con piacere questa sua traduzione.
Fonte: neweconomicperspectives.org


Credo che se si voglia comprendere appieno e al meglio il funzionamento della moneta moderna e, di conseguenza, la MMT, sia inevitabile un, seppur breve e sintetico, tuffo nella storia economica e monetaria per capire affondo come veramente sia nata la moneta, per quali scopi e con quali meccanismi; altrimenti salta tutto. In effetti, l'errore che la maggior parte dei lettori commettono approcciandosi alle teorie degli MMTers è quello di interpretare i loro concetti all'interno delle proprie conoscenze "tradizionali" sulla moneta, confondendo il tutto. Il Prof. Wray ci fornisce un interessante riepilogo che può aiutare a chiarire i dubbi ed i malintesi.


MMP BLOG #12: COMMODITY MONEY COINS? METALISM VS. NOMINALISM, PART ONE
By L. Randall Wray


Last week I asserted that coins have never been a form of commodity money; rather they have always been the IOUs of the issuer. Essentially, a gold coin is just the state’s IOU that happens to have been stamped on gold. It is just a “token” of the state’s indebtedness—nothing but a record of that debt. The state must take back its IOU in payments made to itself. “Taxes drive money”—these “money things” are accepted because there are taxes “backing them up”, not because they have embodied gold. As promised, this week I will begin try to dispel the view that coins used to be commodity monies. Next week, we will finish up the discussion.






In this Primer I do not want to go deeply into economic history—we are more interested here with how money “works” today. However, that does not mean that history does not matter, nor should we ignore how our stories about the past affect how we view money today. For example, a common belief (accepted by most economists) is that money first took a commodity form. Our ancient ancestors had markets, but they relied on inconvenient barter until someone had the bright idea of choosing one commodity to act as a medium of exchange. At first it might have been pretty sea shells, but through some sort of evolutionary process, precious metals were chosen as a more efficient money commodity.





Obviously, metal had an intrinsic value—it was desired for other uses. (And if we take a Marxian labor theory of value, we can say metal had a labor value as it had to be mined and refined.) Whatever the case, that intrinsic value imparted value to coined metal. This helped to prevent inflation—that is, decline in the purchasing power of the metal coin in terms of other commodities—since the coin could always be melted and sold as bullion. There are then all sorts of stories about how government debased the value of the coins (by reducing precious metal content), causing inflation.



Later, government issued paper money (or base metal coins of very little intrinsic value) but promised to redeem this for the metal. Again, there are many stories about government defaulting on that. And then finally we end with today’s “fiat money”, with nothing “real” standing behind it. And that is how we get the Weimar Republics and the Zimbabwes—with nothing really backing the money it now is prone to causing hyperinflation as government prints up too much of it. Which leads us to the gold bug’s lament: if only we could go back to a “real” money standard: gold.


In this discussion, we cannot provide a detailed historical account to debunk the traditional stories about money’s history. Let us instead provide an overview of an alternative.

First we need to note that the money of account is many thousands of years old—at least four millennia old and probably much older. (The “modern” in “modern money theory” comes from Keynes’s claim that money has been state money for the past 4000 years “at least”.) We know this because we have, for example, the clay tablets of Mesopotamia that record values in money terms, along with price lists in that money of account.


We also know that money’s earliest origins are closely linked to debts and record-keeping, and that many of the words associated with money and debt have religious significance: debt, sin, repayment, redemption, “wiping the slate clean”, and Year of Jubilee. In the Aramaic language spoken by Christ, the word for “debt” is the same as the word for “sin”. The “Lord’s Prayer” that is normally interpreted to read “forgive us our trespasses” could be just as well translated as “our debts” or “our sins”—or as Margaret Atwood says, “our sinful debts”.*




Records of credits and debits were more akin to modern electronic entries—etched in clay rather than on computer tapes. And all early money units had names derived from measures of the principal grain foodstuff—how many bushels of barley equivalent were owed, owned, and paid. All of this is more consistent with the view of money as a unit of account, a representation of social value, and an IOU rather than as a commodity.
Or, as we MMTers say, money is a “token”, like the cloakroom “ticket” that can be redeemed for one’s coat at the end of the operatic performance.




Indeed, the “pawn” in pawnshop comes from the word for “pledge”, as in the collateral left, with a token IOU provided by the shop that is later “redeemed” for the item left. St. Nick is the patron saint of pawnshops (and, appropriately, for thieves), while “Old Nick” refers to the devil (hence, the red suit and chimney soot) to whom we pawn our souls. The Tenth Commandment’s prohibition on coveting thy neighbor’s wife (which goes on to include male or female slave, or ox, or donkey, or anything that belongs to your neighbor) has nothing to do with sex and adultery but rather with receiving them as pawns for debt. By contrast, Christ is known as “the Redeemer”—the “Sin Eater” who steps forward to pay the debts we cannot redeem, a much older tradition that lay behind the practice of human sacrifice to repay the gods.*








We all know Shakespeare’s admonition “neither a borrower nor a lender be”, as religion typically views both the “devil” creditor and the debtor who “sells his soul” by pawning his wife and kids into debt bondage as sinful—if not equally then at least simultaneously tainted, united in the awful bondage. Only “redemption” can free us from humanity’s debts owing to Eve’s original sin.



Of course, for most of humanity today, it is the original sin/debt to the tax collector, rather than to Old Nick, that we cannot escape. The Devil kept the first account book, carefully noting the purchased souls and only death could “wipe the slate clean” as “death pays all debts”. Now we’ve got our tax collector, who like death is the only certain thing in life. In between the two, we had the clay tablets of Mesopotamia recording debits and credits in the Temple’s and then the Palace’s money of account for the first few millennia after money was invented as a universal measure of our multiple and heterogeneous sins.



The first coins were created thousands of years later, in the greater Greek region (so far as we know, in Lydia in the 7th century BC). And in spite of all that has been written about coins, they have rarely been more than a very small proportion of the “money things” involved in finance and debt payment. For most of European history, for example, tally sticks, bills of exchange, and “bar tabs” (again, the reference to “wiping the slate clean” is revealing—something that might not be done for a year or two at the pub, where the alewife kept the accounts) did most of that work.


Indeed, until very recent times, most payments made to the Crown in England were in the form of tally sticks (the King’s own IOU, recorded in the form of notches in hazelwood)—whose use was only discontinued well into the 19th century (with a catastrophic result: the Exchequer had them thrown into the stoves with such zest that Parliament was burnt to the ground by those devilish tax collectors!) In most realms, the quantity of coin was so small that it could be (and was) frequently called in to be melted for re-coinage.
(If you think about it, calling in all the coins to melt them for re-coinage would be a very strange and pointless activity if coins were already valued by embodied metal!)



So what were coins and why did they contain precious metal? To be sure, we do not know. Money’s history is “lost in the mists of time when the ice was melting…when the weather was delightful and the mind free to be fertile of new ideas—in the islands of the Hesperides or Atlantis or some Eden of Central Asia” as Keynes put it. We have to speculate.


One hypothesis about early Greece (the mother of both democracy and coinage—almost certainly the two are linked in some manner) is that the elites had nearly monopolized precious metal, which was important in their social circles tied together by “hierarchical gift exchange”. They were above the agora (market place) and hostile to the rising polis (democratic city-state government). According to Classical scholar Leslie Kurke, the polis first minted coin to be used in the agora to “represent the state’s assertion of its ultimate authority to constitute and regulate value in all the spheres in which general-purpose money operated… Thus state-issued coinage as a universal equivalent, like the civic agora in which it circulated, symbolized the merger in a single token or site of many different domains of value, all under the final authority of the city.”** The use of precious metals was a conscious thumbing-of-the-nose against the elite who placed great ceremonial value on precious metal. By coining their precious metal, for use in the agora’s houses of prostitution by mere common citizens, the polis sullied the elite’s hierarchical gift exchange—appropriating precious metal, and with its stamp asserting its ultimate authority.



As the polis used coins for its own payments and insisted on payment in coin, it inserted its sovereignty into retail trade in the agora. At the same time, the agora and its use of coined money subverted hierarchies of gift exchange, just as a shift to taxes and regular payments to city officials (as well as severe penalties levied on officials who accepted gifts) challenged the "natural" order that relied on gifts and favors. As Kurke argues, since coins are nothing more than tokens of the city’s authority, they could have been produced from any material. However, because the aristocrats measured a man’s worth by the quantity and quality of the precious metal he had accumulated, the polis was required to mint high quality coins, unvarying in fineness. (Note that gold is called the noble metal because it remains the same through time, like the king; coined metal needed to be similarly unvarying.) The citizens of the polis by their association with high quality, uniform, coin (and in the literary texts of the time, the citizen’s "mettle" was tested by the quality of the coin issued by his city) gained equal status; by providing a standard measure of value, coinage rendered labor comparable and in this sense coinage was an egalitarian innovation.




From that time forward, coins commonly contained precious metal. Rome carried on the tradition, and Kurke’s thesis is consistent with the statement of St. Augustine, who declared that just as people are Christ’s coins, the precious metal coins of Rome represent a visualization of imperial power—inexorably doing the emperor’s bidding just as the reverent do Christ’s.*** Note, again, the link between money and religion.
OK that gets us to Roman times. Next week we examine coinage from Rome through to modern times.



References:
*Payback: debt and the shadow side of wealth, by Margaret Atwood, Anansi 2008.
**Coins, Bodies, Games, and Gold, by Leslie Kurke, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 1999; xxi, 385; paper $29.95 (ISBN 0-691-00736-5), cloth $65.00 (ISBN 0-691-01731-X).
***If anyone knows the source for St. Augustine’s comparison of people to coins, please provide it. I thank Chris Desan, David Fox, and other participants of a recent seminar at Cambridge University for the discussion I draw upon here.
MONETA - MERCE? METALLISMO VS NOMINALISMO, PARTE UNO
Di L. Randall Wray
Traduzione a cura di Marco Sciortino

La scorsa settimana ho asserito che il denaro non è mai stato una forma di moneta-merce, piuttosto è sempre stato una promessa liberatoria (in inglese: “IOU”, “I Owe You”, letteralmente sta per “Io Ti Devo”, cambiale, ndt) da parte dell'emittente. Essenzialmente, una moneta d'oro non è altro che una cambiale dello Stato che viene stampata in oro. È solamente un “simbolo” dell'indebitamento dello Stato, nient'altro che una registrazione di quel debito. Lo Stato deve obbligatoriamente riprendersi indietro la sua cambiale nei pagamenti verso di esso.
“Le tasse fanno funzionare la moneta” — Queste “monete-oggetti” sono accettate perché ci sono le tasse a sostenerle (cioè a garantire la loro accettazione, ndt), non perché esse siano state impresse in oro. Come promesso, questa settimana comincerò a provare di confutare la tesi secondo la quale il denaro soleva essere “moneta-merce”. La prossima settimana completeremo del tutto la discussione.
In questo corso base (“primer”, ndt) non voglio approfondire la storia economica (siamo più interessati a come “lavora” la moneta al giorno d'oggi). Tuttavia, ciò non significa che la storia non abbia importanza, né dovremmo ignorare come le nostre vicende del passato influiscano su come noi vediamo la moneta oggi. Per esempio, una convinzione comune (accettata come vera dalla maggioranza degli economisti), è che la moneta assunse come forma primitiva quella di merce. I nostri antenati avevano i mercati, ma essi scambiavano in un'inconveniente forma di baratto fino a che a qualcuno non venne l'illuminante idea di scegliere una merce a fungere da mezzo di scambio. Agli inizi queste merci potrebbero essere state anche delle graziose conchiglie di mare ma, attraverso una sorta di processo evolutivo, i metalli preziosi furono scelti come moneta-merce più efficiente.

Ovviamente, il metallo aveva un suo valore intrinseco, ovvero era richiesto per altri scopi. (E se prendiamo la teoria marxiana del valore, possiamo dire che il metallo aveva un valore nella misura in cui esso doveva essere estratto e raffinato.)
In ogni caso, quel valore intrinseco impartiva valore al metallo coniato. Ciò aiutò a prevenire l'inflazione (che è la perdita del potere d'acquisto della moneta di metallo nei confronti di altre merci) dato che il denaro poteva sempre essere fuso e venduto come metallo prezioso. Ci sono poi racconti di tutti i tipi riguardo a come il governo svalutò il valore delle monete (dalla riduzione del contenuto di metallo prezioso) causando inflazione.

Più tardi, il governo emise moneta cartacea (o monete divisionali metalliche di valore intrinseco molto piccolo) ma promettendo di convertirla in metallo. Nuovamente, ci sono molte storie su come il governo andò in default facendo ciò. E, finalmente, terminiamo con la odierna “moneta fiat”, con niente di “vero” a supporto. Ed è così che otteniamo la Repubblica di Weimar e lo Zimbabwe, con veramente nulla che supporti il denaro, che così è soggetto a provocare iperinflazione non appena il governo ne stampi fin troppo. La qual cosa ci conduce al rimpianto della mania dell'oro: se solamente potessimo tornare indietro alla “vera” moneta base: l'oro.

In questa sede, non possiamo fornire un dettagliato resoconto storico per screditare le tradizionali narrative riguardo alla storia della moneta. Lasciateci invece fornire la visione d'insieme di una alternativa.

Per prima cosa abbiamo bisogno di prendere nota che la moneta di conto è vecchia di parecchie migliaia d'anni, almeno quattro millenni e probabilmente anche più. (Il termine “modern” in “modern money theory” proviene dall'affermazione di Keynes che la moneta è stata moneta di Stato almeno per i passati 4000 anni.) Sappiamo questo perché abbiamo, ad esempio, le tavole d'argilla della Mesopotamia che registrano valori in termini di moneta, insieme con le liste dei prezzi in quella moneta di conto.

Sappiamo anche che le origini più remote della moneta sono strettamente collegate ai debiti e alla tenuta di registri contabili, e che molte delle parole associate con moneta e debito hanno un significato religioso: debito, peccato, rimborso, redenzione, “fare tabula rasa” (in inglese: “wiping the slate clean”, ndt) e Anno del Giubileo. Nel linguaggio aramaico parlato da Cristo, la parola “debito” è la stessa usata per “peccato”. Il passo del “Padre Nostro” che è normalmente interpretato per leggere “forgive us our trespasses” (“rimetti a noi i nostri debiti”, ndt) potrebbe essere altrettanto ben tradotto come “i nostri debiti” o “i nostri peccati” o, come dice Margaret Atwood, “i nostri debiti peccaminosi”.*

Le registrazioni dei crediti e dei debiti erano più simili ai moderni impulsi elettronici, incise sull'argilla piuttosto che sui moderni nastri delle calcolatrici. E tutte le primitive unità della moneta avevano nomi derivanti dalle misure delle principali derrate di grano (quanti quintali di orzo equivalente furono dovuti in cambio, posseduti e pagati). Tutto questo è più coerente con la visione del denaro come unità di conto, come rappresentazione del valore sociale e come un “Io Ti Devo” piuttosto che come una merce.
Oppure, come dicono i sostenitori della MMT, la moneta è un “gettone”, come il biglietto per l'appendiabiti di un locale che può essere utilizzato per ritirare il proprio cappotto, alla fine della rappresentazione dell'opera.

Infatti, il termine “pawn” in “pawnshop” (“monte di pietà”, “banco dei pegni”, ndt) deriva da “pledge” (“pegno”, “garanzia”, ndt), come per la garanzia rilasciata con un buono dal negozio il quale poi si ricompensa con l'oggetto rilasciato. San Nicola è il santo patrono dei monti di pietà (e, appropriatamente, dei ladri), mentre il “Vecchio Nick” (“Old Nick” è uno degli epiteti inglesi del diavolo, ndt) si riferisce al diavolo (da ciò, l'abito rosso e la fuliggine del camino) al quale abbiamo impegnato le nostre anime. Il divieto di desiderare la donna altrui del Decimo Comandamento (che comprende anche lo schiavo maschio o femmina, o bue, o asino, o alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo) non ha niente a che vedere con il sesso o l'adulterio, quanto piuttosto con il ricevimento di essi come garanzia per il debito. Di contro, Cristo è conosciuto come “il Redentore” — l'“Espiatore dei peccati” (letteral. “Sin Eater”, “mangiatore di peccati”, si riferisce all'eucaristia dell'ultima cena, ndt) che assolve i pagamenti dei debiti che non possiamo redimere, una tradizione molto più antica che sta dietro alla pratica del sacrificio umano per ricambiare gli dei (il “mangiare i peccati” era una pratica diffusa già tra gli aztechi, ndt).*

Tutti noi conosciamo il monito di Shakespeare “non chiedere né dar danaro in prestito”, allo stesso modo di come la religione tipicamente vede sia il “diavolo” creditore e sia il debitore che “vende la sua anima” per garantire dalla schiavitù da debito la moglie ed i figli, come peccaminosi, se non altrettanto, almeno simultaneamente corrotti, uniti nella schiavitù terribile. Solo la “redenzione” può liberarci dai debiti dell'umanità dovuti al peccato originale di Eva.

Sicuramente, per la maggioranza dell'umanità oggi, è dal peccato/debito originale verso l'esattore delle tasse, piuttosto che verso il Vecchio Nick, che non possiamo fuggire. Il Diavolo teneva i primi libri paga, annotando attentamente le anime acquisite e solamente la morte poteva “fare tabula rasa” poiché “la morte paga tutti i debiti”. Ora noi abbiamo l'esattore delle tasse, che come la morte è l'unica cosa certa nella vita.
Tra le due, avevamo le tavole d'argilla della Mesopotamia che registravano i debiti ed i crediti nella moneta di conto del Tempio o poi del Palazzo per i primi pochi millenni, dopo la moneta fu inventata come misura universale dei nostri multipli ed eterogenei peccati.

Le prime monete furono create migliaia di anni dopo, nella più grande regione greca (per quanto ne sappiamo, in Lidia nel 7° secolo a.C.). E nonostante tutto ciò, è stato scritto circa le monete, che esse sono raramente state più che una proporzione molto piccola delle “monete-oggetti” coinvolte nella finanza e nel pagamento del debito. Per la maggior parte della storia europea, ad esempio, i tally stick, le cambiali e le “schede bar” (“bar tabs”, ndt) ( (di nuovo, il riferimento a "fare tabula rasa" è rivelatore, cosa che potrebbe non essere fatta per un anno o due al pub, dove la birraia teneva i conti) hanno fatto la maggior parte di quel lavoro.

Invero, fino a tempi molto recenti, la maggior parte dei pagamenti fatti alla Corona Inglese erano nella forma di tally stick (la promessa di pagamento propria del Re, registrata in forma di tacche a Hazelwood), il cui uso è stato interrotto solamente nel XIX secolo (con un risultato catastrofico: lo Scacchiere li aveva gettati nel forno con entusiasmo tale che il Parlamento è stato raso al suolo da parte di quei diabolici esattori delle tasse!). Nella maggioranza dei regni, la quantità di denaro era così poca che poteva essere (e fu) frequentemente richiamata ad essere fusa per la riconiazione.
(Se ci pensate, richiamare tutte le monete allo scopo di fonderle per la riconiazione sarebbe un'attività molto strana e senza senso se le monete sono state già valutate dal metallo incorporato!)

Allora cosa erano le monete e perché contenevano metallo prezioso? A dire il vero, non lo sappiamo.
La storia della moneta è "persa nella notte dei tempi quando il ghiaccio si stava sciogliendo ... quando il tempo era delizioso e la mente libera di essere fertile di nuove idee, nelle isole delle Esperidi o di Atlantide o di qualche Eden dell'Asia centrale", come Keynes chiosò. Possiamo solo fare congetture.

Una ipotesi riguardo alla Grecia arcaica (la madre sia della democrazia che della coniazione, quasi certamente le due cose sono collegate in qualche maniera) è che le élite avevano quasi monopolizzato i metalli preziosi, che erano importanti nei loro circoli sociali legati tra loro dallo “scambio gerarchico di doni”, esse erano oltre l'agorà (la piazza del mercato) e ostili alle nascenti poleis (forma di governo democratica di città-stato). Secondo lo studioso classico Leslie Kurke, le prime monete coniate delle poleis erano utilizzate per “rappresentare la rivendicazione dello Stato della sua massima autorità di costituire e regolare il valore in tutte le sfere nel quale operava lo scopo generale della moneta... Perciò lo stato diffuse la coniazione come equivalente universale, così come l'agorà cittadina in cui circolavano, simboleggiavano la fusione in un unico simbolo o luogo di molte cerchie di valori, il tutto sotto l'autorità finale della città.” ** L'utilizzo di metalli preziosi fu un consapevole disturbo contro l'astuzia delle élite che ponevano grande valore simbolico nel metallo prezioso. Dalla coniazione del loro metallo prezioso, per l'uso nelle case chiuse dell'agorà da parte dei meri cittadini comuni, la polis deturpò lo scambio gerarchico di doni delle élite, appropriandosi del metallo prezioso, e con il suo timbro affermando la sua massima autorità.

Così come la polis usava le monete per i propri pagamenti ed insisteva nei pagamenti in denaro, essa impartì la sua sovranità anche nel commercio al dettaglio dell'agorà. Allo stesso tempo, l'agorà ed il suo uso della moneta coniata sovvertirono gli scambi gerarchici di doni, proprio come un trasferimento di tasse e pagamenti regolari ai funzionari cittadini (nonché sanzioni severe applicate ai funzionari che accettavano doni) sfidando l'ordine “naturale” che si basava sui doni e sui favori. Come Kurke sostiene, dal momento che le monete non sono altro che simboli dell'autorità della città, potrebbero essere state prodotte con qualsiasi materiale. Tuttavia, poiché gli aristocratici misuravano il valore di un uomo dalla quantità e dalla qualità del metallo prezioso che aveva accumulato, la polis era obbligata a coniare monete di alta qualità, invariabili nel titolo. (Si noti che l'oro è chiamato il metallo nobile perché rimane lo stesso nel tempo, come il re; il metallo coniato aveva bisogno di essere altrettanto invariabile.) I cittadini delle poleis, dalle loro associazioni con moneta di alta qualità e uniformità (e nei testi letterari del tempo, la “tempra” del cittadino era testata dalla qualità della moneta emessa dalla sua città) ottennero eguali condizioni; dal provvedere ad una misura standard di valore, la coniazione rese il lavoro misurabile e in questo senso essa fu un'innovazione egalitaria.

Da allora in poi, le monete comunemente contennero metallo prezioso. Roma ha continuato la tradizione, e la tesi di Kurke è coerente con l'affermazione di Sant'Agostino, che ha dichiarato che, proprio come le persone sono le monete di Cristo, le monete in metallo prezioso di Roma rappresentano una visualizzazione del potere imperiale, eseguendo inesorabilmente gli ordini dell'imperatore proprio come il rispettoso fare di Cristo.*** Si noti, ancora una volta, il legame tra moneta e religione.
Ok questo ci fa giungere al tempo dei romani. La prossima settimana esamineremo la coniazione da Roma fino ai tempi moderni.

Riferimenti:
*Payback: debt and the shadow side of wealth, by Margaret Atwood, Anansi 2008.
**Coins, Bodies, Games, and Gold, by Leslie Kurke, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 1999; xxi, 385; paper $29.95 (ISBN 0-691-00736-5), cloth $65.00 (ISBN 0-691-01731-X).
***Se qualcuno conosce la fonte per il confronto di Sant'Agostino tra persone e monete, si prega di fornirla. Ringrazio Chris Desan, David Fox, e gli altri partecipanti di un recente seminario all'Università di Cambridge per la discussione che traggo qui.